Entrando nello storico palazzo San Giacomo che affaccia a Piazza del Municipio (attualmente sede del Comune di Napoli), sul pianerottolo dello scalone centrale è esposta su un piedistallo in pietra lavica una testa di donna in marmo. Si tratta di uno dei monumenti più suggestivi e misteriosi della città di Napoli.
Il capo, cinto da una semplice quanto arcaica acconciatura dei capelli, mostra i caratteri stilistici della scultura tardo-ellenistica. Secondo un’antica tradizione riportata da Carlo Celano nel suo volume “Notizie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli” e da Giovanni Antonio Summonte nella sua “Historia della città e Regno di Napoli”, che vissero all’epoca del ritrovamento (pare nel 1594 nella zona dell’Anticaglia, sul decumano superiore, quartiere prevalentemente greco della città), l’antica testa femminile era quanto rimaneva di un’antica statua che raffigurava la Sirena Parthenope.
In realtà la scultura napoletana rappresenta una divinità pagana, Afrodite/Venere, e doveva essere collocata come statua di culto all’interno di un tempio della Neapolis romana.
Essere riconosciuta come ritratto del leggendario personaggio legato alle origini della città non difese la scultura dall’oblio del tempo. Dopo il rinvenimento, il busto fu abbandonato al suo destino e solo in seguito, per interessamento di un patrizio napoletano, tale Alessandro Di Miele, venne decentemente sistemato su una base in piperno nella strada di San Giovanni a mare, nei pressi della Chiesa di Sant’Eligio (più precisamente all’incrocio tra via Sant’Eligio e via Duca di San Donato).
Agli inizi del XVII secolo se ne dispose il restauro ma l’intervento fu eseguito con pesanti intonacature e grossolane verniciature; per fortuna il deplorevole stato di “messo a nuovo” svanì col passare degli anni.
I guai, però, non erano finiti: la rivoluzione del 1647 di Masaniello coinvolse anche l’antica statua che, situata a poca distanza da Piazza Mercato, subì l’oltraggio dei soldati spagnoli inferociti contro i rivoltosi, la città ed i suoi simboli. La testa marmorea fu privata del naso ed in tale stato rimase fino agli anni cinquanta dell’800 quando, secondo uno scrittore dell’epoca, “fu restaurata con un nasone posticcio, che avrebbe potuto esser lavorato con perizia maggiore”.
Da allora nel vissuto quotidiano quella che era unanimemente conosciuta come ‘a cap’ ‘e Napule non godeva di una buona fama, infatti chiunque aveva una testa grossa e informe era solitamente schernito dalle popolane con il detto: “Me pare donna Marianna, ‘a cap’ ‘e Napule”.
Quello che restava della scultura infatti era conosciuto anche col nome di “Donna Marianna”. Non è chiaro però quando questo nomignolo prese a circolare. Secondo alcuni le fu dato nell’800 quando venne collocata di fronte alla Chiesa di Santa Maria dell’Avvocata. Qui era conservato anche un busto della Santa commemorata durante la festa di Sant’Anna; per questa analogia con il busto e con la Santa ‘a cap’ ‘e Napule divenne “Donna Marianna”. Altri invece sostengono che il nome le fu dato per farne un simbolo di libertà come la famosa “Marianne” francese della Rivoluzione 1848.
Sta di fatto che durante la festa religiosa in onore di Sant’Anna, le popolane avevano il compito di abbellirla con fiori e nastri per poi inscenarvi danze e balletti tutt’intorno.
Come già avvenuto per le intonacature seicentesche, anche il naso ricostruito non ebbe lunga vita e la scultura tornò a mostrarsi ancora una volta con il volto impietosamente sfigurato. Durante il secondo conflitto mondiale la zona della Marina e le vicine strutture portuali costituirono un importante obiettivo per i bombardieri che sganciavano sulla città il loro carico di morte e distruzione. Destino atroce: l’antica statua pagò la sua secolare vicinanza alla nevralgica zona del porto subendo ulteriori danneggiamenti a causa degli scoppi e dei crolli.
Nel 1961 “Donna Marianna” entrò a far parte della collezione del Museo Filangieri e l’anno seguente, dopo un ulteriore restauro e l’ennesimo naso nuovo fu trasferita a Palazzo San Giacomo, al riparo da piogge acide e smog, lontana sì dal fervore della vita del popolo che per secoli l’aveva amata, ma spettatrice dell’andirivieni di persone, idee e speranze che ogni giorno si incrociano lungo le scale di palazzo.
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